giovedì 13 dicembre 2007

"Tutte le luci del mondo" (inedito di Daniela Veneri)

1.
Non riesco a trovare una posizione comoda. Ho freddo, e non riesco a riscaldarmi nemmeno con questo sole. Le ossa mi stanno marcendo, questo dolore perenne, puntuale, pungente mi fa contorcere la gamba come fosse un’anguilla. La testa, con il gelo e l’umidità che preme per ore, si scatena in pensieri strani, che si incanalano in dei tunnel di ricordi ricomposti in un filmato inverosimile. Non sento più le dita dei piedi, credo che il mignolo destro sia in cancrena. La tosse mi percuote il corpo come una scossa. Mi viene quasi da vomitare. Le coperte non trattengono questo dicembre gelido lontano dalla terra e da me. Ho fame. Vorrei un cappuccino caldo, con una di quelle focaccine del bar del mio paese, soffici e piene di crema. Le piaghe all’inguine mi bruciano. Sono settimane che non mi lavo. La mia Sara, la vedo, mentre corre tra le giostrine, mentre corre balzelloni e grida “Papà papà andiamo sul Bruco Mela? Ci andiamo? Ti prego ti prego ti prego…”. L’ultima volta che ho visto i suoi occhi neri e la sua pelle rosa e trasparente sotto le mie mani. L’ultima volta che l’ho stretta e le ho parlato. Gli ultimi 20 euro spesi tra caramelle, la giostra dei cavalli e le patatine fritte. L’ultima volta che sono stato nel loro mondo, nel mondo delle luci.

2.
“Quando quando? Quando la finirai di fare il bambino e crescere Daniel? Siamo ancora in ritardo sull’affitto, mi servono i soldi per la spesa. Non si può andare avanti così, è chiaro? Devi trovare un modo per trovare i soldi…fatti dare l’aumento o cerca un altro lavoro. Sono mesi che facciamo la fame…e perché? Perché ti sei fidato di quello stronzo di tuo cugino a comprare le azioni della Parmalat! Senza chiedermi niente. Io Daniel non ce la faccio più, non so più perché stiamo ancora insieme”. Io ti ho guardavo assente, non avevo colto la disperazione che ti aveva invasa e la depressione nella tua voce. “Non dici niente? Non fai niente per rassicurarmi?”. Sara si era affacciata dalla cameretta. L’ ho vista con la coda dell’occhio e le son andato incontro. Ho sempre odiato che lei assistesse ai nostri litigi. “Cristina stai esagerando, non siamo sul lastrico, dobbiamo solo rimetterci in sesto”. “Rimetterci in sesto?! Non abbiamo un euro Daniel, 3 mesi di debito col padrone, le bollette scadute da un mese, i tuoi che non ci danno una mano e io non posso lasciare Sara da nessuno, né cercarmi un lavoro…Ha ragione mio padre, la miglior cosa sarebbe che io tornassi a casa sua con Sara”. “Tuo padre? Perché non mi dà quei 3 mila che gli ho dato 4 anni fa eh? Invece che incita sua figlia a lasciare il marito. Tu non te ne vai da nessuna parte capito? Nessuna va via da qua. Siamo una famiglia!”. “Ah bella famiglia! Siamo quasi in mezzo ad una strada perché sei un uomo senza coglioni. Ti hanno preso per il naso tutti, tutti quanti e non ti sei mai fatto valere. Sei un perdente, un fallito e io non ci affondo con te”. Sara mi stringeva forte il collo, il viso nascosto nella mia spalla. “Non avere paura piccolina mia, non è niente dai…”. “Ma la mamma è arrabbiata, perché?”. “No, è solo un po’ stanca, sai come quando tu fai i capricci dopo cena perché vorresti ancora giocare, ma crolli dal sonno? Uguale la mamma…”. “Ma vado dal nonno domani?”. “No, domani no, un altro giorno. Ora andiamo a lavarci le manine”. Mi davi le spalle mentre pelavi le patate. “Cri, lo so, non è un momento bello…ma vedrai cambierà”. Ti sei fermata, forse volevi girarti per dirmi qualcosa, forse altri improperi. Invece hai ripreso il tuo lavoro e hai tirato un lunghissimo respiro. E mentre stavo andando verso il bagno a controllare Sara, la tua voce mi ha seguito. “Daniel, io non ti amo più”.

3.
I suoi capelli sottili e profumati non li ho scordati. Si può vivere senza una poltrona, senza cena e pranzo sicuri, senza televisione, macchina, senza vestiti puliti, senza telefono, senza un letto. Ma un uomo che perde tutto, perde se stesso. Il mondo scorre attraverso i discorsi di chi ti passa accanto. Il tempo,quello, devi impegnarlo e non è semplice. Io spesso vado vicino alle scuole o ai giardinetti. Quando c’è stato il circo mi sono fatto anche un paio di chilometri a piedi. Non ricordo quando, ma tutto ha iniziato a diventare ombra, sempre più buio. Sono uno di quelli, mi hanno detto, che sulla strada c’è finito per sfiga. Io avevo una casa, una moglie e Sara. Di lei ricordo tutto, il suo rosa, il suo castano, anche se i colori sono spenti, come se tutto fosse avvenuto sempre di sera. Il mondo delle luci, il mondo della felicità qui dicono che è tutta finzione, un sogno a noi precluso. Che strano…mi ricordo anche quando andavo a scuola, mi ricordo l’esame di maturità e mia madre ed io mentre passeggiavamo allegri ad Alberobello.

4.
“Papà papà papà…”. “Cristina ti prego fermati, lasciami almeno salutare la bambina”. Non capivo, non riuscivo a focalizzare. La mattina ero andato a fare un colloquio. Lo sapevo che sarebbe andato bene, dopo tanti no, il si doveva arrivare. “Inizio tra una settimana, da Edelponte, quello degli automatismi, ricordi? Gli serve un elettricista. E mi ha detto che posso iniziare subito…Cri, hai sentito?”. “Non me ne frega più nulla. Vado da mio padre”. La tua schiena scendeva veloce giù dalle scale. E Sara piangeva mentre la tiravi per un braccio. “Cri ma hai sentito? Fermati cazzo!”. Ti sei fermata. Hai detto a Sara di scendere e di aspettarla in macchina del nonno. Lei ha desistito e mi si è attacca alla gamba. “Papà …non…voglio…andare via”. Era scossa dai singhiozzi, ho fatto per abbracciarla ma tu me la hai strappa e le hai urlato di scendere, “Vai giù subito Sara!”. Poi ti sei voltata, e mi hai fissato con occhi che non avevo mai visto. Ho capito che facevi sul serio. Ho capito che te ne saresti andata via per sempre, con Sara, che non la avrei rivista più, che non te ne fregava nulla del lavoro nuovo, che non volevi più stare con me...che sarei rimasto solo. “Io non so come farai a vivere e non mi interessa. Spero che il nuovo lavoro ti vada bene, perché non hai più nulla Daniel, domani hai lo sfratto forzato. Sai dove trovarci. Io non mi aspetto né gli alimenti né altro. Se vuoi vedere Sara dovrai stare alle regole”. Mi hai passato una busta che non ho preso. L’hai fatta cadere ai miei piedi. Mi hai guardato con sdegno. Sei scesa di qualche gradino. Poi sei ritornata indietro. “Una cosa sola voglio sapere: perché hai buttato via tutto? Perché non mi hai mai, mai, ascoltata? Perché?”. Io son stato zitto. Non sapevo cosa dirti. Io ho cercato di non rovinare mai nulla. Avevi gli occhi gonfi. Mi hai dato ancora le spalle e sei corsa via veloce. Mi sono abbassato, ho raccolto la busta e ho letto l’intestazione: Avv. Luigi Zanni, Istanza di separazione Mannini. Mi sono catapultato giù, sono arrivato sul marciapiede e ho visto una Fiat Marea che se ne stava andando. Mi sono affiancato. Guidava Pietro, tuo padre, e dietro Sara si divincolava sul seggiolino chiamandomi. Tu, immobile, non mi guardavi. “Aspetta, aspetta…Sara ti voglio bene, il papà ti vuole bene. Cristina, fermati ti prego, fermati!”. La Marea ha accelerato e io son inciampato. Una fitta alla caviglia come lama nella carne. Piegato sulle ginocchia, inspiravo profondamente. La Marea aveva girato a destra. Non la vedevo più. Vi aveva portate via, lontane. A Lugano.

5.
Ho imparato presto le regole della strada: si dorme poco, perché c’è sempre qualcuno che ruba quel poco che hai. Devi fissarti più posti per dormire e mangiare. Mai dormire da solo in luoghi isolati. Fatti dei simpatizzanti tra panettieri, salumieri e baristi, può esserci qualche boccone per te. Lavati alle fontanelle di mattina presto o la sera d’estate e di inverno nei bagni pubblici. Le scarpe sono come le gomme per una macchina: se lisce le devi cambiare e non è semplice trovare quelle giuste ai vari banchi della Caritas. Ammalati il meno che puoi: se ti becchi la polmonite sei già morto. Regola più importante: diventare insensibili alle occhiate della gente, al loro giudizio, al loro disprezzo, alla loro indifferenza. Guardano me e mi odiano perché la loro paura è più fondata di quanto credono: è più semplice diventare come me, che ricco come Briatore.

6.
La prima notte in strada. La notte che ha rubato la mia vita di prima non la scorderò mai più. Venti centesimi, tutto ciò rimasto al ritorno da Lugano. I soldi della misera liquidazione da Edelponti spesi per vedere Sara, dopo 5 mesi. Non avevo più lavoro, né macchina. Quando sono sceso dal treno erano le undici circa di sera. Esausto, sudato, affamato. Non avevo mai pensato a dove sarei andato, né a come ci sarei arrivato. Sapevo che la stazione non era posto sicuro. Mi incamminai in direzione centro storico. Dopo mezz’ora trovai un piccolo spiazzo con un paio di panchine. Ero davanti a “Santa Maria della Carità”, una chiesetta stile gotico. La notte era calda per metà maggio. Con lo zaino sotto la testa mi addormentai steso sulla panchina, con Sara nei miei sogni, la sua risata come sottofondo. Poi d’improvviso una botta alla testa, un dolore acuto, qualcuno che mi buttava a terra e mi dava calci allo stomaco, alla faccia e ancora allo stomaco. Non capivo, non vedevo. Non riuscivo a respirare. Cercavo di coprirmi la testa. Qualcuno altro mi tirò per i piedi, quello dei calci si fermò. Allora alzai la testa, aprii un occhio, e vidi 3 persone con le mani dentro il mio zaino e tutta la mia roba per terra. Setacciavano, prendevano e calciavano via. Cercai di alzarmi per scappare. Riuscii a girarmi di schiena e a trascinarmi fin sotto la panchina. Ma qualcuno mi mollò un paio di calci nei reni, mi ritirò indietro e mi diede un pugno in faccia. Buio e silenzio. Fu Don Franco che mi trovò la mattina dopo, che chiamò l’ambulanza e che mi assistette nell’attesa. Ero un mostro di sangue rappreso in faccia, la bocca tumefatta, almeno tre costole rotte. Mi fecero un sacco di domande a cui non seppi rispondere. “Dove abita? Come si chiama? Ha parenti? Ha visto in faccia i suoi aggressori?”. Mi caricarono in autoambulanza, mi portarono al pronto soccorso e mi medicarono. “Dovresti stare in osservazione almeno un paio di giorni” mi dissero. Un carabiniere mi si avvicinò. “Signor Mannini, come sta?”. “Meglio…”. “Senta…abbiamo controllato la sua situazione. Lei non ha casa, né lavoro…La sua famiglia?”. “Lugano…”. “Ieri sera, lei stava dormendo sulla panchina?”. “Si”. Respiro. Il carabiniere mi fissò. “Signor Mannini, appena può dovrebbe passare per la questura”. Ho aspettato la mattina, e dopo il giro delle sei, mi sono vestito e sono uscito di nascosto. Non avevo più niente. Nemmeno le scarpe.

7.
Stanno aprendo i cancelli. Il custode mi vede, si avvicina a passetti. Non sa cosa fare. “Ehi tu…va via da qua…vattene sennò chiamo la polizia”. Io sto fermo, non ho nessuna intenzione di muovermi. L’uomo mi sputa addosso e se ne và: ha compiuto il suo dovere. La polmonite mi ha debilitato, non so quanto tempo camperò. Non voglio pensarci oggi. Saranno le 11 del mattino credo, forse qualcosa dopo. Devo sforzarmi per tirarmi su. Voglio entrare nel luna park e fare un giro. Oggi c’è un bel sole, giornata perfetta per le giostre. Mi trascino tra i quasi conati di tosse. Mi sistemo sulla panchina tra la casa degli spiriti e il Bruco Mela. Davanti a me, la giostra dei cavalli. Arrivano le prime mamme coi bambini, che tirano le maniche dei cappotti materni, tutti eccitati e sognanti. Si scelgono la postazione migliore come se quella fosse la loro, da sempre. Un tepore mi percorre il corpo. Sono stanco. Mi accoccolo sulla panchina. Qualche bambino mi sta indicando alla sua mamma, che gli dice di non guardare e segnare, e lo spinge avanti. La giostra dei cavalli inizia il suo primo giro. La musica è tutta allegria, mille ciondoli e ninnoli che suonano, le voci dei bambini che incitano i loro cavalli di legno ad andare più forte. E sento Sara, vedo Sara mentre gira e spinge il suo cavallo rosa e mentre grida: “Papà papà mi vedi? Vado fortissima, forte più della luce”. “Si che ti vedo amore mio, sei tu la mia luce, sei tutte le luci del mondo”.

5 commenti:

Mario Govoni ha detto...

dedicato a tutti i genitori che sono lontani dai propri figli ...

Anonimo ha detto...

Ci sono 2 o 3 errori di battitura, uno che mi ricordo è "impropri" invece di "improperi".
Il tema non è facile, a me ha trasmesso emozione, anche se per la brevità, ovviamente ci sono alcune forzature.
Brava Daniela.

Max.

Anonimo ha detto...

Brava Daniela, bello!

C'è un'emozione contratta, che si scioglie man mano, ricostruendo un percorso.
Qualche svista di battitura e qualche uso improrio, qua e là...
Ma il racconto c'è.

Mario Govoni ha detto...

Mi scuso per non aver provveduto a revisionare il racconto prima di leggerlo ... la mitica Daniela è famosa per i suoi refusi :o)
Correzioni effettuate.

Anonimo ha detto...

Grandissima prof!!
davvero...complimenti! sentimentalona come sono mi sono venute le lacrime agli occhi...