martedì 29 giugno 2010

“Prove di felicità a Roma Est” di Roan Johnson

Ho scritto e riscritto almeno tre volte questo commento anche perché, per un problema di salvataggio, si è perso tutto. Mai inconveniente fu più opportuno: infatti non stavo esprimendo le mie impressioni ma soltanto riassumendo la trama di questo romanzo.
Roan Johnson, nonostante il nome, è italianissimo; cresciuto a Pisa, da quando ha venticinque anni vive a Roma. Posso ipotizzare, non conoscendone la storia personale, che “Prove di felicità a Roma Est” sia una sorta di autobiografia, di narrazione ampliata e romanzata di quelle che sono state le sue esperienze di provinciale trapiantato nel “casino serissimo” della Capitale, dove ci sono locali e discoteche, attrici e veline, ma c'è anche tutto un mondo che si allarga verso la periferia. È qui, ai margini della città, che può succedere di tutto, anche di incontrare una guardia notturna che di giorno, per quattrocento euro al mese, è la giovane professoressa di scienze nel “liceo del calcinculo”, scuola privata dove si consegue la maturità dopo aver fatto tre anni in uno e dove il preside ha il televisore a schermo ultrapiatto da cento pollici e la vasca da idromassaggio in presidenza.
Lorenzo Baldacci, a cavallo della sua Vespa Primavera, arriva a Roma dalla provincia pisana per frequentare un costoso liceo privato e qui incontra Marchino, suo compagno di classe e, di sera, pony-pizza in un locale della periferia. È proprio Marchino che introduce Lorenzo nel mondo della periferia romana, dove la città diventa campagna e poi torna città e, di nuovo, campagna.
“Prove di felicità a Roma Est” è un romanzo di formazione, una sorta di “Giovane Holden” al Tuscolano, e racconta le peripezie, amorose e non, di Lorenzo e dei suoi amici, a partire, appunto, da Marchino, il primo del quale facciamo la conoscenza. Poche righe ne descrivono il profilo psicologico: “E allora ho capito perché Marchino mi ricordava il Pilloni e il Ciana, non tanto nel fisico, lui bassetto e moro quanto gli altri due biondi e giganti. La somiglianza era nella capacità di finire nei casini, nella serena accettazione delle sfighe. Perché si trattava di grandi incassatori, gente che i pugni, più che tirarli, aveva imparato a prenderli”.
Poi c'è Samia, la ragazza marocchina della quale Lorenzo si innamora. Lei, cameriera nella pizzeria, è la ragazza di Marchino, ma ha anche occasionali incontri con Vischio, altro dipendente del locale, e una storia con Lorenzo. La ragazza è indipendente, non si vuole sentire costretta, come spiega lo zio: “Non è mica stato facile: ha portato i suoi vestiti e le sue cose da un'amica un po' alla volta. Ha salutato tutti senza farglielo capire, sapendo che venendo qui a Roma non avrebbe rivisto nessuno. Si è decisa quando si è sposata sua sorella. È scappata la sera dopo il matrimonio. L'ha fatto per i suoi genitori, per farli stare tranquilli che almeno la sorella si era sistemata. Una figlia scappa, ma l'altra si sposa con un ragazzo scelto da loro: un buon pareggio fuori casa, no?”.
E Vischio, in un altro momento, rincara la dose: “Le altre sono sciape o mielose. Samia è salata”.
Soprattutto chi abita in una grande città, anche se non necessariamente Roma, non faticherà a rivedere nei personaggi di Johnson qualche bel tipo che conosce, personalmente o per interposta persona: che dire, ad esempio, del professor Garzoli, cugino della madre di Lorenzo, che ospita il ragazzo in casa sua e gli fa ripetizione di latino, greco, italiano e chissà cos'altro? Agorafobico, spinge il ragazzo a diventare pony-pizza, poi a vivere in una stanza in affitto, poi è entusiasta quando Lorenzo, assieme a Vischio, va a vivere in una scassatissima roulotte ai margini di un campo nomadi. È proprio questa esperienza di Lorenzo che aiuterà Garzoli a uscire di casa: comprerà un camper e, con la fedele badante ucraina Ileana inizierà a girare l'Italia, ma giusto per qualche mese, prima di morire.
Un altro personaggio che possiamo dire tutti di aver conosciuto è Scarpe Dorate, che frequenta la scuola e parla con disinvoltura di comprare la laurea: un tamarro, un villano arricchito, con scarpe che contengono, veramente, fili d'oro e Mini Cooper sulla quale ha fatto dipingere dei fori di proiettile. Scarpe Dorate è l'unico, vero antipatico del romanzo e un giorno porta Lorenzo e Marchino a vedere la presidenza, con il mitico schermo da cento pollici e l'ancor più mitica vasca da idromassaggio, destinata a diventare strumento della nemesi. Il giorno della maturità Lorenzo parte verso la scuola, ma tre bambini del campo Rom lo fermano e gli regalano un pesce siluro. Giunto a scuola, assieme a Marchino decide di andarlo a buttare nella vasca del preside. Facile intuire il trambusto che segue alla scoperta del pesciaccio in presidenza: esami ritardati e controlli severi sui candidati: a Scarpe Dorate trovano il telefonino, con il quale contava di farsi fare il compito da un prezzolato, e glielo sequestrano. Morale? L'antipatico è l'unico bocciato della scuola.
Lorenzo inforca nuovamente la Vespa Primavera e se ne torna a casa. Gli ultimi capitoli sono un po' come certi titoli di coda dei film americani, quando, in una frase, si descrive la vita successiva dei personaggi: Samia tornata a Genova, Marchino in partenza per la Germania, Lorenzo che va alla cena per salutare Marchino e incontra per l'ultima volta Samia.
Il finale è un po' malinconico, ma, francamente, un happy end avrebbe stonato.