martedì 19 aprile 2011

La luna e sei soldi

Non amo moltissimo i romanzieri inglesi del Novecento, anche se devo dire che Orwell e Huxley, con le loro distopie, mi hanno affascinato, quindi non sono particolarmente stimolato a leggerli. Come tutte le regole, anche questa ha un'eccezione e così un giorno, passeggiando per Portalba, il quartiere dei librai di Napoli, su una bancarella ho trovato un vecchio libro che mi ha colpito: “La luna e sei soldi” il suo titolo, William Somerset Maugham l'autore.
L'ho preso, l'ho girato e, nelle note sulla quarta di copertina di quel vecchio Super Pocket Longanesi, ho letto: “Che fa un uomo quando sua moglie l'ha seccato? In questo, forse il più avvincente dei suoi romanzi, il grande Maugham descrive la magica evasione fuori dal mondo conformista di un uomo che tenta disperatamente di sottrarsi alla noia senza riuscirci”. Lì per lì ho pensato a un romanzetto alla Woodhouse, o a un ironica storia stile Jerome e l'ho acquistato, ponendolo a maturare su uno scaffale della mia libreria. Passato qualche mese, finalmente, è venuto il suo momento e l'ho letto.
Ebbene, denuncerei per falso chi ha scritto quelle note: il romanzo è tutto tranne che la storia di un marito annoiato. C'è uno scrittore che raggiunge il successo in giovane età e, introdotto nei salotti della borghesia londinese, fa la conoscenza di una signora, moglie di un agente di cambio. La vita prosegue quieta per qualche mese, tra salotti letterari e incontri, pranzi e cene, fino al termine dell'estate, quando la moglie dell'agente di cambio torna in città e scopre che il marito l'ha lasciata per fuggire a Parigi. Si pensa a un'avventura galante, la classica fuga con la ballerina, e il giovane scrittore è spedito nella Ville Lumière a cercare di riportare a casa il reprobo, ma la realtà supera ogni fantasia: Charles Strickland, questo il nome del fuggiasco, non ha lasciato casa, moglie, figli e lavoro per inseguire una gonnella, ma per dedicarsi alla pittura. Questa notizia è appresa con sgomenta incredulità dalla moglie e dai cognati: un tradimento è accettabile, seguire una vocazione artistica no, tanto che la versione ufficiale sarà proprio che Strickland è fuggito a causa di una donna.
Il romanzo entra nel vivo ed è la storia di Charles Strickland narrata dallo scrittore, che assume la veste di suo biografo non ufficiale, in contrasto con gli studiosi e i critici, che lo hanno capito solo dopo la morte, e con il figlio del pittore che della vita del padre fa un racconto edulcorato e sostanzialmente falso. Lo scrittore ricorda i suoi frammentari rapporti parigini con Strickland e riporta i racconti di altri che, in momenti diversi della sua vita, lo hanno conosciuto: il racconto percorre gli stenti e gli insuccessi dell'uomo, genio incompreso in vita, detestato da tutti per il suo carattere assolutamente indifferente agli altri, arso dal fuoco di un'arte che solo lui poteva capire. Negli anni Strickland lascia Parigi, dove spinge la moglie di un altro pittore, Dirk Stroeve, prima a diventare sua amante e a posare nuda per lui, per poi, dopo averla ritratta, lasciarla senza una parola di spiegazione: per la disperazione la donna si suiciderà. Da Parigi la vicenda prosegue a Marsiglia, dove Strickland, secondo il racconto che il capitano Nichols fa allo scrittore, vive di espedienti e di pubblica carità, per poi imbarcarsi e andarsi ad arenare a Tahiti, dove sposerà un'indigena, continuerà a dipingere i suoi quadri, incomprensibili per i contemporanei, e si ammalerà di lebbra, malattia che lo porterà alla morte.
L'uomo, prima di morire, farà bruciare l'ultima sua più grande opera, dipinta sulle pareti della capanna dove viveva con la moglie tahitiana. L'unico estraneo a vederla prima della distruzione fu il medico che lo curò nei suoi ultimi anni e che la descriverà allo scrittore, giunto a Tahiti in occasione di un suo viaggio nella Polinesia Francese.
Che l'io narrante della storia sia una trasposizione autobiografica dello stesso Maugham ci sono pochi dubbi, così come si possono nutrire certezze sul fatto che Charles Strickland sia l'alter ego romanzato di Paul Gauguin, anch'egli agente di cambio, pittore incompreso e ridotto in miseria, andato a morire in Polinesia non di lebbra ma di sifilide. Anche le opere che Gauguin lasciò nella sua ultima casa a Hiva Oa, nelle isole Marchesi, furono distrutte dal fuoco, appiccato non da lui ma dal vescovo del posto che le giudicava blasfeme.
Se Strickland è, per vita e opere, Paul Gauguin, per aspetto, prepotente fisicità e carattere è la trasposizione romanzesca di Vincent Van Gogh, rosso di pelo come il protagonista della nostra vicenda.
I personaggi minori, come la moglie di Strickland e il figlio maggiore dello stesso, il pittore olandese Dirk Stroeve, di scarso talento ma di grande sensibilità e generosità, il capitano Nichols, avventuriero che divise con Strickland gli stenti di Marsiglia, Tiarè, matronale proprietaria di un albergo di Tahiti che trova moglie a Strickland, e altri ancora a volte rasentano lo stereotipo ma hanno una loro vitalità, emergono dalla pagina.
Il romanzo è essenziale perché Maugham scrive in un modo per così dire “economico”: tutto è rivolto alla vicenda di Strickland e alla sua naturale conclusione. Questa asciuttezza può piacere o no, ma la storia si fa leggere, scorre bene, è appassionante, sottolineata da una sorta di understatement a volte ironico.
Di solito dei libri si ricorda l'incipit, di questo mi ha colpito l'excipit: “Mio zio Enrico, che per vent'anni fu vicario di Wishtable, soleva dire in quelle occasioni che persino il diavolo sa citare la Sacra Scrittura per i suoi fini. Egli ricordava il tempo in cui si potevano comprare tredici soldati indigeni per uno scellino”: come dire, una sorta di albagia coloniale molto “british”. In questo sta la grandezza di Maugham, che sa cogliere, senza ipocrisie, gli aspetti peggiori del popolo a cui appartiene.
Una chiosa sul titolo: “La luna e sei soldi” è la traduzione letterale o quasi del titolo originale “The Moon and Sixpence”. Perché il romanzo si intitoli così non è mai spiegato all'interno del libro, quindi per avere delucidazioni dobbiamo ricorrere allo stesso Maugham che, in una sua lettera, ebbe a scrivere: "Se guardi a terra in cerca di una moneta da sei pence, non puoi guardare in alto, e così non vedi la luna", forse a significare che di Strickland/Gauguin tutti vedevano l'aspetto, sicuramente poco gradevole, della persona e delle sue opere, ma non erano in grado di scorgerne il genio, al di là della superficie.