domenica 11 agosto 2013

Temporale

lampo

Dopo giorni di afa e gran sole, il cielo si era annuvolato e un venticello fresco portava qua e là il frinire delle cicale. L'ora era sospesa, inerte tra il caldo che resisteva e la promessa di un temporale.

Cadde qualche goccia di pioggia, acqua che non leva sete, a liberare il caldo rinchiuso nei muri e nel terreno. Uno squarcio, sempre più ampio, di cielo azzurro faceva capire che, almeno nell'immediato, la promessa non sarebbe stata mantenuta. Il temporale, semplicemente, non era ancora maturo. Le cicale si erano ammutolite: dopotutto, la temperatura si era abbassata o forse percepivano qualcosa che sfuggiva ai sensi umani.

Uno sguardo verso settentrione mostrava uno strato compatto di nuvole, a rinnovare la speranza della pioggia e del fresco che avrebbe portato. L'orizzonte appariva velato da un sudario di caldo umido. L'attesa continuava.

Seduto sotto il portico della casa aspettava che succedesse qualcosa; la sensazione di caldo era opprimente. Sentiva le gocce di sudore colargli lungo i fianchi, mentre la camicia era appiccicata alla schiena. Il torpore a volte si impadroniva di lui, facendogli crollare la testa sul petto: il brusco movimento lo risvegliava di soprassalto, negandogli anche quel minimo di sollievo che quel sonno letargico gli avrebbe concesso. Il cielo, nel frattempo, si era fatto greve d'acqua e nero anche se, laggiù, a occidente, da sotto le nubi, un mezzo sole al tramonto tingeva di arancione uno spicchio di cielo e regalava una lama di luce a illuminare la campagna.

Era ormai il crepuscolo quando, quasi inattesa, iniziò a cadere qualche goccia, pesante, grossa, che colpiva il terreno polveroso con un suono simile a quello di uno schiaffo attutito; da qualche parte giungeva l'alito della pioggia imminente, con l'odore della terra bagnata, mentre le gocce cadevano sempre più frequenti. D'un tratto l'inconfondibile, sordo brontolio di un tuono in lontananza: finalmente il temporale era arrivato e avrebbe portato un po' di refrigerio. Quella notte avrebbe fatto fresco. Le prime gocce sparse erano diventate un acquazzone che aumentava di intensità, fitto, sempre più fitto fino a rendere indistinti i contorni: gli alberi al di là del prato, poche decine di metri, erano quasi invisibili.

Un secco, crepitante latrato lo fece trasalire: “Questo è caduto vicino”, pensò. Si alzò dalla poltrona in vimini e, incurante, uscì sotto la pioggia, trovandosi inzuppato dopo pochi istanti: allargò le braccia, alzò la testa verso il cielo e, lentamente, iniziò a girare su se stesso. Si sentiva bene, il fresco portato dal temporale lo aveva rinvigorito. Un po' dovunque vedeva fulmini nel buio incalzante della sera; “Là, quello, chissà dove è caduto” pensava mentre valutava mentalmente il passare del tempo. “Dieci secondi, – calcolò – tre, forse quattro chilometri”. Un botto simile a quello di un cannone antiaereo da 88 (quante volte lo aveva sentito durante la guerra) gli fece capire che il fulmine, questa volta, era caduto a meno di un chilometro: forse non era un'idea così buona quella di restare a godersi il temporale all'aperto; con un sospiro si diresse sotto il portico, levò il cuscino dalla poltrona per non bagnarlo e si mise a sedere. Tolse il pacchetto di sigarette dal taschino della camicia e lo trovò completamente zuppo, inutilizzabile; “Pazienza, – pensò con un lieve sorriso – questa sera non si fuma” e lo buttò sul tavolino a poca distanza.

La violenza del temporale stava aumentando: nel buio della sera vedeva lampi cadere ovunque, mentre la pioggia scrosciava, accompagnata dal fragore dei tuoni. Poteva essere passata mezz'ora e un senso di lieve inquietudine si stava impadronendo di lui: i temporali lo avevano spaventato fin da bambino e se aveva accolto questo quasi con gioia era perché la sofferenza provocata dalla calura glielo aveva fatto desiderare in modo quasi spasmodico. Passata l'ebbrezza, le sue antiche paure stavano ricominciando a farsi sentire e non poteva nemmeno contare sul piacere di una sigaretta.

Quando Dio volle la pioggia cambiò divenendo meno intensa e con gocce più piccole; anche i tuoni erano diminuiti di numero. Il temporale aveva scaricato la sua forza e si stava placando.

Rientrò in casa e si diresse verso la sua camera: sentiva il bisogno di togliersi i vestiti zuppi d'acqua, di asciugarsi e di mettersi qualcosa di asciutto. “Sì, – disse tra sé e sé – stanotte potrò dormire”.

Mario Govoni