domenica 24 febbraio 2008

Senza Titolo (inedito di Veronica Ricciardi)

Perché a volte, un sorriso non basta più. A volte uno schiaffo esprime più amore di un abbraccio. Oggi viviamo in un mondo che cambia in continuazione. Un mondo che pretende molto, da ogni essere umano che non si accontenti di stare alla finestra, a guardare la propria vita scorrergli vicino. Siamo sottoposti a pressioni altissime, sia sul lavoro che nella vita di relazione. Siamo bombardati da messaggi che ci mostrano persone felici, realizzate, serene, economicamente indipendenti, stimate, amate. E ciascuno di noi è veramente così? Lavorando in questo nuovo lavoro che mi serve con 180 euro a settimana lavorando tutti i giorni per 11 ore cucinando, servendo e lucidando un squallido locale che serve a gente di una certa età per ritrovarsi lì non avendo nulla da fare... vedo questo, sento questo, mentre ridono, parlando tra di loro tra una bevuta di vino e una di grappa, ma in fondo nascondono tante cose, che una fogna erutterebbe letame... hanno moglie, figli e nipoti… ma per loro è come se fossero fantasmi… sì fantasmi non valutano al posto di uno sguardo di un nipotino, se non un gioco di carte, una seduta per non essere volgare con una femmina che si dà facilmente…
Se non fossimo nati per essere felici, perché mai i bambini, che ancora non hanno subito tanti condizionamenti, userebbero tutto quello che hanno e che possono per migliorare? Imparare a camminare, a parlare, a comunicare, a giocare, a partecipare. A sognare in grande! Perché non c'è in loro questo pensiero? ogni essere vivente, è costruito per tendere al benessere e al piacere, ma al di sopra delle righe c'è una cosa fondamentale per me che a volte pecco di stupidità umana… LA DIGNITÀ. Ma cosa è diventato oggi il nostro “modello” di felicità e serenità? La mia paura è quella che se dovessi rimanere a lungo a lavorare lì per poi sentire tutto ciò i miei neuroni che già stanno dando segnali evidenti di avanzamento precoce, peggiorino sempre più… Come faccio a volte mi chiedo… oggi non è facile la vita quotidiana, non è facile trovare un lavoro, e poi… un lavoro che ti renda felice e che ti appaghi… Forse era più facile, anche solo 100 anni fa, quando le regole e i ruoli erano più semplici e comprensibili? Oggi, credo che potremmo definire la felicità come la possibilità di fare ed essere, ogni giorno, quello che veramente vogliamo fare ed essere, ma nel contegno di quello che io chiamo DIGNITÀ. Che questo voglia dire essere un genitore che cresce la sua famiglia, o un volontario che si dedica agli altri o… qualunque cosa che sentiamo come “la nostra strada”, dentro di noi. Ma qualunque essa sia, percorriamola bene, non accontentiamoci di risultati mediocri, pretendiamo per e da noi stessi il meglio, dando il meglio. Purtroppo oggi incontro sempre più persone che non sanno veramente quello che vogliono, quello di cui hanno bisogno per essere felici, e io, che ero quella che diceva che il segreto era BOIA CHI MOLLA, mi arrendo davanti questa società di merda…Una donna o un uomo in carriera che si sente rinfacciare l’egoismo di non aver investito sulla famiglia. Una donna o un uomo che riesce a fare tutte e due le cose, anche se non vive proprio come nel mulino bianco, e che si sente dire che ha dimenticato il tempo e gli spazi per se stesso. Un volontario che non ha i soldi per pagarsi le bollette, un imprenditore che si sente in colpa se si compra un’auto sportiva… Viviamo in un mondo così veloce e contraddittorio che qualunque scelta facciamo sembra nascondere un rovescio della medaglia doloroso. Così, spesso, le persone non decidono e si lasciano vivere, accettando quello che il momento porta, non realizzando che non decidere non è mai la decisione giusta. Non manderò a nessuno la e-mail con le dolci parole e i sorrisi e non perché non sia bella o non mi abbia fatto piacere riceverla, ma perché credo che l’amore (e su quello non si discute) sia la “cosa” a cui aspirare prima di tutto. Amore per se stessi e per gli altri. E se mi amo devo cercare e cercare ancora, fino a che non trovo e intraprendo la mia strada per essere felice. E se amo qualcun altro devo aiutarlo a fare lo stesso.
Cercare la propria strada per essere felici non è così semplice, ecco perché un sorriso può illuminarla per un attimo, ma un buon schiaffone può aiutarci a percorrerla, quando ci lasciamo andare alla routine o alla paura di fare scelte sbagliate e ci fermiamo, appollaiati su un muretto, a guardare gli altri che corrono…

domenica 17 febbraio 2008

Orlatrice (scrittura collettiva di Maria Mosella, Beniamino SIdoti, Fabrizio Manizza e Daniele Macchi)

Orlo del precipizio
e cucio desideri
e taglio pensieri
su tovaglie ricamate
poi con spago spargo
mi sporgo
intrinsecamente
voglio
voglia fulva
come fragola (Maria)

Sul baratro
un bar atro
e io affondo
ricordi e desideri.
Cerco un oracolo
ma trovo solo una Pizia.
Prego Pizia, "Preci, Pizia!"
Prego, dimmi.
Non so cosa voglio.
Non voglio quel che so. (Ben)

Oracolo ora tracollo
sul collo e sulla schiena
paura e brividi
Pizia, prego "non Preci, Pizia"
delizia
so cosa voglio
un futuro altro
inventa, Plizia (Maria)

profeta imperfetta
non chiedere il futuro
a chi il futuro lo vede
chiedilo a chi lo fa
a Delfo, a Samo, a Cuma
evita la nebbia e la bruma
a Cuma, a Delfo, a Samo
il futuro invento e chiamo.
Più lo stringo tra le mani
più scivola come sabbia
come tempo
a Cuma a Samo a Delfo (Ben)

Cuma, Samo, Delfo
già odo
odore malsano
tornano indietro
vento le mie parole
Non dirmi Plizia
mestizia (Maria)

Oracoli monocoli
non vedono il futuro.
Del destino il vasto orbe
incompleto sempre appare
a chi d'un occhio è orbo.

Né due occhi sono meglio.
Quattro occhi ancora peggio
dato che son solo occhiali.

Scruta a fondo il Terzo Occhio,
brilla occulto al foro interno.
Le donne sole sanno dov'è,
scelte da sempre per profetesse.
Fulve o bionde sopra tutte:
bronzo o oro nei capelli,
lo scintillio di arcani metalli.
Esse sole sanno, sempre,
anche quando non san di sapere. (Fabrizio)

odore di iodio
profeti sul mare e sul vento
odo re di odio
dio di sventura che grida contento
o dò ore e dì, od io...
il tempo non si misura a parole

e se le tue parole, Plizia,
davvero sono vento,
che siano aquilone - vento giocattolo,
e non scirocco, vento dei pazzi sciroccati,
che siano tramontana dell'alba
e non bora boriosa
che siano grecale levantino
e non maestrale pedante

Plizia? Mestizia?
in amicizia, più letizia!
che tanta mestizia,
nemmeno in beozia,
manco in dalmazia,
forse forse in scizia.
Lì c'è mestizia,
non fa nemmeno notizia.
Ma qui? Ci si sfizia,
ci si vizia, ci si inizia
E il vento è una lontana sfinge egizia (Ben)

seduta sta
mestizia
parole e nuvole
fulmini e pensiero
temo fremo spero (Maria)

e la speranza morde
la speranza ingiallisce
sbiadisce
oracolo ora tracollo
sul collo e sulla schiena
bionda speranza
vana va (Maria)

bionda? Fulva? sempre a me caro fu...
Speranza vana in vano attendo
trasudo mentre sputo la sentenza,
ora colo ora sudo e mai più vani allori.
Cosa siamo noi? Perché!!! (Daniele)

"Cielo in una bottiglia
Siamo
Sabbia rosa in un astuccio
Siamo
Gialle gocce di acqua piovana
racchiuse in un ricordo
Siamo"
Samo dice
non risponde
a questa
di domande tra mille
e tra sudo vomito incolore
e cado
ma graffio
mi rialzo
e grido
stringo
mi sporgo
intrinsecamente
credo
non cedo (Maria)

Al bar atro suona la campana
di chiusura; era castana
la speranza, ora è tinta,
bionda ma finta
spero fremo temo.
Ma è naturale espressione
di desiderio, di passione.
Domani la speranza curva
cambia strada e si fa fulva. (Ben)

domenica 10 febbraio 2008

La lettera accartocciata (di Luca Gaudiano)

Non riesco a prendere sonno. Come ogni notte. Mi sembra sempre di non avere fatto abbastanza - non stare in ansia, mi ripeto. Ma serve a poco.
E poi stasera me lo merito di dormire di meno: ho trovato per strada una strana missiva - chissà chi l'ha scritta - abbandonata. Accartocciata in disparte.
Desidero che la leggiate anche voi. In fondo riguarda molti. L'anonimo l'ha intitolata "Lettera alla ragazza che amerò."

Lettera alla ragazza che amerò

"Ti noterò perché avrai lo sguardo perso in qualche pensiero leggero e sorriderai, interdetta. Ti noterò perché avrai le spalle strette e la pelle lucida sotto il sole della primavera che non vuole arrivare. Ti noterò perché avrai un tono della voce diverso, squillante, argentino. Ma parlerai a voce bassa.
Mi innamorerò di te per quella tua determinazione a raggiungere ciò in cui credi, contro chiunque. E qualunque avversità. Mi innamorerò delle tue labbra arrossate dal desiderio di desiderare, e delle mani ansiose di stringere, carezzare, sfiorare. Mi innamorerò di quel modo che avrai di farmi capire che ti piaccio. E che ti piace il mio modo di pensare e di parlare.
Ti noterò e mi innamorerò del silenzio che sarai capace di sopportare, non prevaricando quel sottile strato di inevitabile isolamento che tendo a creare attorno a me. Mi sorprenderà la naturalezza con cui saprai cristallizzare la mia attenzione sulla morbidezza dei tuoi capelli e del tuo incarnato fine. Ti avrò notato, avrò respirato già l’odore buono del tuo viso e mi sarò innamorato del tuo modo di esprimere le idee. Le tue idee.
Saremo sdraiati a fianco, tremando la nostra prima volta, fremendo di desiderio, ma temendo la concretezza che riduce. Scherzeremo e ci prenderemo dolcemente in giro. Poi, il tuo sguardo mi convincerà a bloccarti sotto di me e a toccare ogni piega del tuo corpo disteso.
Prima di fondere la nostra vita, però, te lo prometto fin d’ora, ti chiederò di non volere possedere tutto il mio essere. Ti pregherò di non volere mai diventare l’assoluto per la mia esistenza. Ti scongiurerò di evitare con tutta te stessa, con tutta la tua amorevole forza, di rubarmi lo spazio necessario a comprendere la vita al di là di te. Di volere a tutti i costi entrare anche nell’ultima rocca del mio castello di incertezze, e di profanare il mio sacrario di ricordi e sogni.
Tu dirai di sì, mi rassicurerai, lo prometterai. Ma nel vento e nella sabbia. Al tuo inconsapevole spergiuro io crederò come un bambino che si fida del suo adulto preferito. E sarà in quel momento che mi avrai già tradito. Io lo comprenderò quasi subito, ma penserò che si tratta del piccolo prezzo che costa l’Amore. E sbaglierò, cazzo se sbaglierò!
Ti amerò e mi amerai, ma saranno amori diversi, il mio tenderà a metterti sempre più in disparte, il tuo a fare di me sempre più la tua sola ragione di vita, il tuo solo spazio in cui respirare: due malattie diverse e configgenti, due paradossi che si srotoleranno ai piedi della nostra diversa capacità di tollerare ciò che non condividiamo e che ci fa male. E nel dolore dell’incomprensione cammineremo insieme per molto tempo, a fianco uno dell’altra.
Invecchieremo nell’amore e nella sola certezza che tutto questo non potrà continuare. Così non potrà continuare. Cercheremo soluzioni, ci arrovelleremo nel tentativo velleitario di aggiustare un giocattolo che, quando si rompe, anche se lo aggiusti, non funziona mai come prima. E ci lasceremo, probabilmente ci lasceremo. Oppure resisteremo, guerriglieri senza tempo e senza confini, sperduti nella tundra umida del pianto riservato e discreto.
Ti amerò anche allora, perché sapevo fin dall’inizio che non avresti fatto sceneggiate, che non rientrano nel tuo stile sobrio, capace, disciplinato, quasi militare. E ti amerò anche allora, perché non mi sfuggirà il tuo sguardo deluso dalla vita che non sa tornare indietro. Piangerò leggendo le lettere che saremo scritti e che avremo nascosto subito dopo: saranno intrise di parole tutte nostre, di nostre pagine scritte con l’inchiostro della nostra vita di estranei, incapaci di ammettere la malattia dell’amore che è sempre a tempo determinato.
Ti amerò per la dignità che metterai a nudo quando mi farò scoprire tradirti e per la bravura che avrai nel tenermi nascosto le tue storie parallele. Sarai perfetta, non ti sfuggirà di te il benché minimo segreto né il più piccolo dettaglio di me. Saremo vecchi e belli. Insieme, mentre ci allontaniamo. Per sempre.
A pensarci ora, questa sarà la grande avventura che, fortunati, potremo raccontare di avere vissuto: ne vale la pena, no? Anche se dici di no, e non potresti dire altrimenti, so che dentro di te sei consapevole che sarà davvero così e sarà maledettamente meraviglioso.
Desidero dirti tutto questo adesso, quando ancora nemmeno ci conosciamo. Né ci siamo mai visti prima. Voglio già abbracciarti, tentazione di dolore lancinante. Desidero farlo ora, quando sarebbe il gesto più puro della nostra distillata condivisione.
Permettimi questo sorriso amaro, permettimi questa licenza assurda e candida. Permettimi di non farlo dopo, quando sarà inevitabilmente pesante e recriminante.
Ti amerò, non ancora tuo."

Strano messaggio nella bottiglia nel mare postmoderno. Strano davvero. Ora posso andare a letto: mi sento più leggero.

lunedì 21 gennaio 2008

"Sembro ma sono" (di Elena Govoni)

Sembro un’aquila dai grandi occhi,
ma sono un uccellino;
Sembro un timido uccellino,
ma sono una farfalla;
Sembro una farfalla dalle belle ali,
ma sono un bruco;
Sembro un viscido bruco,
ma sono terriccio;
Sembro un morbido e profumato terriccio,
ma sono gatto;
Sembro un attento gatto,
ma sono una tigre;
Allora, se non sembro
Niente di tutto ciò,
se non ci assomiglio
nemmeno,
allora sai dire chi sono io
Ma sì, hai capito,
ci sei arrivato!
Bravo, hai detto bene:
sono uomo!

giovedì 3 gennaio 2008

Un Uomo giovane (inedito di Gianluca Iovine)

Alle 22, 07 scopro il valore del tempo. Guardo i particolari di questa stanza d'albergo per illuminare il sentiero alla noia. Non c'è la bibbia nel cassetto, ma il comodino ha l'immancabile abatjour. Che bei parati crema. Hanno un effetto di filigrana, sembrano un mare di cartamoneta. Grande lo specchio, squadrato, alto, e riflette una tv discreta, accesa su un telefilm americano, di quelli d'azione. Ah, le piastrelle sono di vera ceramica vietrese, quelle mi ricordano continuamente che sono a Positano. Anche se camera mia guarda il costone e poche luci d'inverno. Se non sapessi che a qualche centinaio di metri c'è il mare, che tra salite e discese, gradini e vicoli vanno in giro gatti e foglie morte, penserei di essere in un luogo diverso. E invece è proprio qui che sono. Forse l'ennesimo sbaglio. Ma è così grande il richiamo di questo presepe di case, che preferisco sentirlo respirare tra i muri e il vento, invece di immaginarlo dalla mia città. Domani, se ne avrò voglia, scenderò a risentire la sabbia, per il gusto di vedere le baracche del mare con le assi inchiodate e la stagione crocifissa, cercando per pranzo un posto aperto dove sfuggire alla tramontana, che sempre mi ritrova. Per questo guardo l'orologio. Volano i minuti, fugge ogni pensiero, e hai voglia a fermarlo. No, forse so io come fare. Prendo dal minibar dello cherry. Lo verso nel bicchiere e lo guardo contro il buio della finestra. Riflessi rossi, profumo di legno vecchio e ciliege. Il telefilm è finito, anche il bicchiere. Ne prendo un altro. La vodka liscia può fare molta buona compagnia. E dare troppa sete. Ecco, ora non so dirti con precisione che ora sia. Ma è importante? Pensi sia importante? Forse neanche rivedere la sabbia lo è, forse domani pioverà, e se anche tenesse, scendere per centinaia di metri mi farebbe solo stancare. C'è rimasto solo del vino, ma neanche buono. Un vinaccio. Lo bevo e sa di promesse mai mantenute, di polvere, e brutte bugie. Ma non riesco a sputarlo via. Voglio ricordarlo. E forse almeno lui, domattina, si ricorderà di me.