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lunedì 9 dicembre 2013

La pazza della porta accanto


- Lei vuole conoscermi?
- Sì, io la vorrei conoscere.
- Mah, diciamo che i poeti sono inconoscibili.
Comincia con questo scambio di battute il documentario “La pazza della porta accanto” della regista Antonietta De Lillo, intervista ad Alda Merini. È il 1995 e due donne, la De Lillo, appunto, e l'attrice Licia Maglietta, vogliono incontrare la poetessa: dopo numerosi tentativi andati a vuoto decidono di partire all'avventura e vanno a Milano: siccome la fortuna aiuta gli audaci, Alda Merini si concede loro immediatamente. Iniziano così due giorni di lavoro con due macchine da ripresa, una Betamax puntata a mezzo busto sulla poetessa, seduta al tavolo di casa sua, e una Super 8 che ne inquadra particolari del viso. Dirà la De Lillo, in occasione della prima cinematografica del documentario alla XXXI edizione del Torino Film Festival, che si è trattato di un lavoro molto difficile e duro, perché hanno girato per otto ore al giorno, immobili e in piedi per paura di spostare qualcosa nel disordine della casa, a rischio che poi la Merini non ritrovasse le sue cose. La casa, in realtà, è visibilmente non amata dalla poetessa che dice:

- Perché la casa in disordine? Perché, perché forse nessuno l'ha amata veramente. Bisogna amarle le case, bisogna. Perché forse non ci sono figli. Sa cosa vuol dire una tavola nuda, dove uno vive solo? Perché un conto è uno che vive solo, ma un conto è uno che ha i figli e poi non li vede più, e quello li cercherà dappertutto, come le bestie. Capisce? E allora non sente la necessità di pulire i piatti, di lavare... perché non c'è un commensale. Questo è il significato del disordine, non avere più un commensale a tavola. 
Racconta anche di aver sorpreso un ladro una volta, e che anche questo fatto ha contribuito a farla disamorare.

Al termine delle riprese la regista ha quindi in mano una grande quantità di girato e ne ricava un primo documentario, “Ogni sedia ha il suo rumore”, della durata di 27 minuti, nel quale alle parole della poetessa si mescolano sue poesie recitate da Lucia Maglietta.

Passano diciotto anni, la Merini nel frattempo è scomparsa nel 2009, e Antonietta De Lillo decide di rimettere mano a tutto quel girato per ricavarne un nuovo documentario: recupera anche il Super 8, scartato nel primo film perché ritenuto di qualità insufficiente, e ne fa un uso assolutamente fondamentale, del quale parlerò dopo, realizzando così un'opera nuova, affascinante, vitale: la Merini è ripresa nel tinello di casa sua, immersa nel suo caos, e si racconta. È un fiume in piena, un racconto a volte spezzato, a volte ipnotico, labirintico, dove parla di sé, delle sue figlie e del fatto che le sono state tolte, del manicomio e dell'elettroshock, del dolore, dei suoi uomini, dell'amore, del delirio, della religione.

In tutta quest'orgia narrativa la presenza dell'intervistatrice è solo intuita: nell'affermazione iniziale “Sì, io la vorrei conoscere”, e verso la fine del documentario quando la poetessa si rivolge a lei chiamandola “signorina”. È una presenza comunque importante, stimolo al racconto ma allo stesso tempo boa di segnalazione nel mare delle parole di Alda Merini; non ruba mai la scena, esattamente come dovrebbe fare ogni bravo intervistatore: la protagonista è la poetessa, chi le è di fronte è soltanto uno strumento, un intermediario tra lei e il mondo.

Assolutamente affascinante per lo spettatore è vedere questa donna anziana, sfiorita, vestita con un certo decoro piccolo borghese (l'immancabile filo di perle, la camicetta bianca, il twin set beige), che fuma, gioca col pacchetto di sigarette o l'accendino, e racconta se stessa e la sua arte, dicendo cose mai banali; l'occhio cade sulle mani e sulle unghie, laccate con spezzoni di uno smalto steso chissà quando: il genio si confronta con l'eternità e certi piccoli dettagli si dimenticano. Probabilmente nemmeno in gioventù fu quello che si dice una bella donna, l'iconografia che di lei si ha la mostra in età avanzata, ma seppe innamorarsi e far innamorare tanti uomini, e di grande spessore, a riprova che il fascino sta in un bel corpo ma anche, e soprattutto, in una bella anima.

L'anima, ecco, parliamo dell'anima della Merini e del girato di quella negletta Super 8 che la De Lillo ha ritenuto, saggiamente, di inserire in questo nuovo documentario: la macchina da ripresa è stabilmente puntata sugli occhi della poetessa in un primissimo piano. Se dovessi dire che ne ho notato il colore mentirei: due occhi vivi, straordinari, profondi, di chi ha visto tante, troppe cose e molte brutte. Si dice che gli occhi siano lo specchio dell'anima e io in quegli occhi ho visto l'anima della Merini ed era bella.

Ai mezzi busti e ai primissimi piani degli occhi il montaggio alterna, quasi a voler dare fiato allo spettatore, riprese girate nella zona dei Navigli, dove la Merini viveva, immagini di persone, animali, cose e case, che appaiono negli squarci di un velo nero, a dare un'intensità drammatica anche a queste sequenze.

“La pazza della porta accanto” è un documentario interessante, dove si confrontano l'intervistata e la regista a generare una prova autoriale notevole, dove la De Lillo ha cercato di farsi interprete oggettiva e spassionata del pensiero di Alda Merini, un tramite invisibile ma ben presente nella cura delle inquadrature e nella scrittura del montato. Da citare anche l'accuratezza e la pulizia del montaggio, realizzato da Valeria Sapienza, l'organizzazione di Alice Mariani e la postproduzione, curata da Renato Lambiase: un film, e un documentario lo è, è un'opera corale realizzata con il contributo di tutti.

E non c'è modo migliore per chiudere che usare le ultime parole che la poetessa dice nel documentario:

- Ci sono donne che sono state votate al sapere, alla poesia per tutta una vita sacrificando, appunto, dei piaceri effimeri come la bella casa, il bell'amore, il Ganimede, la bella mangiata, la bella bevuta, e però ci sono dei deliri di lettura che veramente portano a cose in alto, che valgono proprio, come potrei dire, un orgasmo fisico, e vanno oltre. Non li ha mai provati? Non li ha mai provati? Eh, sono da provare! Vero? Sono da provare.
Alda Merini di deliri e di orgasmi da lettura e da scrittura ne deve aver provati veramente tanti: si capisce dall'aria quasi complice che sembra mettere nel pronunciare queste parole.

Mario Govoni