Caro Mario,
la nostra è una generazione fregata dalla Storia e adesso, senza pretesa di scrivere un trattato sociologico, ma solo raccontando quelle che furono, e sono, le mie percezioni, cercherò di spiegarti il perché.
Nel 1969 avevo 14 anni e, pochi giorni prima di Natale, mio padre venne, una sera, a prendermi in palestra e, nel riaccompagnarmi a casa, mi disse che c'era stata una strage a Milano: era la bomba di Piazza Fontana.
In quegli anni, prima e dopo quella sera di dicembre, di stragi, bombe, scioperi e manifestazioni ce ne furono tante. Ho ricordi confusi di quel periodo, ma vividi: il Ministro del Lavoro, Giacomo Brodolini, intervistato dal telegiornale davanti ai cancelli di una fabbrica occupata, la voce fiaccata dal tumore che, da lì a pochi mesi, lo avrebbe ucciso; gli studenti del maggio francese con i loro slogan: “Ce n’est qu’un début continuons le combat!” e le loro utopie; Rudi Dutschke e Daniel Cohn-Bendit, apostoli del movimento studentesco prima e fondatori dei Verdi poi; i cortei in piazza, l'occupazione dell'Università Statale di Milano, gli scontri tra gli studenti e la Celere, i morti da ambo le parti: Antonio Annarumma, ucciso in piazza pochi giorni prima della strage di piazza Fontana, e poi Giuseppe Pinelli, anarchico fermato dalla polizia dopo quell'attentato, che vola fuori dalla finestra della Questura di Milano (interrogatorio finito male? Suicidio? Non so e, forse, nemmeno mi interessa saperlo). E questo solo per citarne due, i primi che mi vengono alla mente.
Passano gli anni, e io cresco; sono gli anni di piombo, scanditi da esplosioni e dal crepitio delle P38, ma la mia vita continua apparentemente normale, anche se il telegiornale stila, giorno dopo giorno, bollettini di guerra con cronache di mortammazzati.
All'Università un diciotto non si nega a nessuno (e stiamo pagando, o meglio, i nostri figli stanno pagando questo lassismo) e il trenta negli esami di gruppo è d'obbligo; al liceo il sei politico è all'ordine del giorno, salvo se il prof ha le palle e se ne frega. Pensa la nemesi: l'altro giorno, davanti all'Accademia di Belle Arti occupata ho letto la richiesta di premiare la meritocrazia. Decisamente i tempi sono cambiati e, forse, i ragazzi di oggi hanno le idee più chiare di quanto le avessimo noi.
Finiscono le scuole superiori e inizia l'Università e troviamo una nuova compagna di viaggio: l'eroina, narcotico per il corpo e la coscienza. Quanti morti ... una guerra, un'altra: uccisi da un'iniezione nei cessi della scuola, o su una panchina dei giardinetti, nell'androne di un palazzo. Spesso soli come cani, soffocati dal proprio vomito e da quella porcheria che si iniettavano nelle vene, dove c'era di tutto: gesso, talco, intonaco, farina e, perché no, pure un po' di brown sugar. Il rito del limone, del laccio, del cucchiaino e dell'accendino, la ricerca, a volte affannosa, di una vena che non fosse al collasso. A uno, in crisi di astinenza, una volta gli amici fecero una pera, ma le vene delle braccia erano rovinate, e idem quelle delle gambe. Non trovarono di meglio che bucarlo sulla grossa vena che sovrasta il pene. Storie, storie che sconfinano nelle leggende metropolitane come quella del voyeur del buco, un arzillo vecchietto che, in un parco pubblico, spiava indifferentemente chi si bucava e chi faceva l'amore. Ciaicentolire era il ritornello che ti seguiva ovunque, lungo le strade più frequentate, nelle metropolitane, alle fermate degli autobus, nelle stazioni ferroviarie; chi non era così allo sbando da biascicare quella richiesta, imbastiva pietosiissime storie di treni persi e portafogli rubati, di mamme morenti e di biglietti ferroviari da acquistare con urgenza, pur di raccattare qualche spicciolo. Quanti ne ho finanziati, aiutandoli, forse, a finire con i piedi in avanti. Che rabbia! Ragazzi che si autodistruggevano per fuggire, ma da cosa? Da una famiglia perbenista e repressiva? Da un ambiente sociale miserabile e senza speranze? Dal degrado di certe periferie costruite da palazzinari senza scrupoli e prive di servizi e di centri di aggregazione? Dalla noia? Dall'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto?
E la polizia che sapeva, conosceva chi si bucava, chi spacciava e chi faceva entrambe le cose e tendeva a sorvegliare la situazione, intervenendo solo quando non poteva fare diversamente. A volte arrestava qualche ladruncolo, a volte beccava lo spacciatore, a volte, forse, portava pure qualcuno in campagna per avere un robusto scambio di idee con lui. Ricordo che, in una strada commerciale della mia città, vicino al centro, una volta vidi un ragazzo, frequentatore abituale della vicina piazza nella quale i “tossici” facevano costante capannello, che aveva un ascesso grande come una palla da tennis, lucido e paonazzo, su un braccio e cercava di convincere due poliziotti che non aveva bisogno di aiuto, che non voleva andare all'ospedale.
L'eroina, droga solitaria, che contrasta con lo spinello, la canna che si fuma in compagnia. Allucinazioni, squilibri, eccessi anche in questo caso. Un ragazzo calabrese, all'Università dove andavo, il sabato e la domenica restava solo, perché i suoi abituali amici e compagni di fumate tornavano a casa. Lui restava lì, come un torsolo, e senza roba. I soldi della borsa di studio non gli permettevano di acquistare per l'hashish, e la famiglia, poverissima, quattrini non gliene mandava di sicuro. Lui contava sul fumo che gli passavano gli amici benestanti, quando c'erano ... il sabato e la domenica fumava di tutto: foglie di tè, bucce di limone seccate, chissà quali altre schifezze. Lo hanno trovato mentre camminava lungo i binari della Bologna-Milano, in preda a un evidente stato confusionale. Se fosse finito sotto un treno sarebbe stato, in pochi mesi, il terzo morto in modo violento tra gli studenti dell'Università. La droga come rifugio dalla depressione? Forse in quest'ultimo caso sì, ma negli altri due chissà cosa scatenò il volo nella tromba delle scale e la fucilata in bocca. Solo Dio e la loro anima, ormai, lo sanno.
Altra nemesi: le droghe della mia generazione erano sedativi, al massimo, come i derivati della canapa indiana, allucinogeni. Adesso le droghe sono eccitanti, “veloci” sia negli effetti che nel distruggerti il cervello. Forse, e scusa il cinismo, è meglio così: un'autodistruzione veloce è, senz'altro, da preferirsi a una lunga agonia.
E ancora bombe, e le Brigate Rosse che gambizzano giornalisti, rapiscono generali e politici, ancora manifestazioni e cortei. Il sole era diverso in quegli anni, sembrava cupo, come spento. La mia vita, però, continuava normale: avevo libertà che i miei genitori non avevano mai avuto, potevo pure permettermi di risponder loro male senza esser preso a cinghiate. Lo studio? Lettore avido e onnivoro, leggevo di tutto, ma lo studio finalizzato non era arte mia: l'Università era un esamificio, dove si aveva successo solo se si davano esami a catena, non importa che poi non imparavi nulla, l'importante era gonfiare il libretto. Io studiavo per il piacere di conoscere le cose: impiegai sei mesi per preparare l'esame di botanica generale, che, normalmente, non ne richiedeva più di un paio, ma sapevo tutto, veramente tutto. Un esame non mi interessava? Chissenefrega, non lo davo, rimandavo.
E, come me, tanti miei coetanei, come me troppo giovani per aver fatto il Sessantotto, lanciati alla scoperta di un mondo che vedeva i ragazzi andare a scuola non più con la giacca e la cravatta, ma col maglione e l'eskimo (ricordo, come un'allucinazione, una vetrina che esponeva un eskimo griffato Pierre Cardin, la moda che scopriva la rivoluzione) e dare del tu ai professori, a godersi la libertà di uscire la sera e di fare tardi, a invidiare un po' i più scafati, che si appartavano con le ragazze.
Le ragazze, già, come non ricordarle? Il femminismo, le streghe che sono tornate, l'allergia al reggiseno (chissà perché le più allergiche, di solito, erano quelle che di seno ne avevano di meno). Dall'alto dei miei quasi due metri d'altezza, d'estate sbirciavo (involontariamente, ovvio!) nelle scollature delle amiche mie. Vestivano uno schifo, con i loro gonnelloni a fiori, gli zoccoli e i calzettoni a righe sopra il ginocchio, ma con loro si poteva parlare, anche se si provava un po' di soggezione. E poi, nei centri sociali o durante le occupazioni delle scuole, magari ci scappava anche qualche politicizzatissima scopata. Siamo stati forse i primi a provare una certa libertà di costumi sessuali, e credo l'abbiamo pagata negli anni a venire. Moltissimi coetanei, maschi e femmine non importa, hanno avuto matrimoni fallimentari, finiti in divorzi, dopo separazioni più o meno burrascose.
Ascoltavamo i Pink Floyd e i Led Zeppelin, De Andrè (mi manchi, Fabrizio, quanto mi manchi) e Francesco Guccini ma anche (di nascosto) i Cugini di Campagna: sono bravissimo a cantare “Anima mia" in falsetto. Le letture, poi ... Siddartha era d'obbligo, e poi Keruac (io preferivo Hemingway, ma mica lo raccontavo in giro); si faceva dell'anticonformismo una conformistica professione di fede.
Poi, come Dio volle, si passò dagli anni di piombo alla Milano da bere, ma, intanto, il treno non si era fermato: la mia generazione aveva scialacquato un patrimonio di talento e di idee, l'immaginazione non era andata al potere e una risata si stava apprestando a seppellirci. Facci caso: quanti sono i cinquantenni che, in Italia contano veramente? E quanti, invece, i sessantenni, e i quarantenni? Già, la rivoluzione degli anni Settanta aveva portato al potere i nostri fratelli maggiori, mentre gli anni Ottanta stavano producendo lo yuppismo e premiando i nostri fratelli minori.
Capito, caro Mario, perché la nostra è una generazione fregata? O troppo giovani, o troppo vecchi. E quanti di noi sono scomparsi? Troppi, forse i più geniali, forse i più sensibili o, forse, soltanto i più deboli.
Andrea Pazienza non c'è più, entrato in una delle sue storie di Pompeo, Pier Vittorio Tondelli nemmeno, uscito di scena perché ucciso dall'AIDS, quella malattia che un omofobo dichiarato definì, una volta, “il diserbante per i finocchi”, con sprezzante crudeltà. E Rino Gaetano? Di noi un po' più grande, ucciso dalla sua Volvo e dal ricovero negato in cinque ospedali, come accadde al protagonista della sua “Ballata di Renzo”. Che spreco, che spreco di talento e di genio, fregati anche in questo.
Un'ultima, ironica, prova di quanto la Storia (grande puttana con la “S” maiuscola) ci abbia fregato? Poco dopo che avevo compiuto diciannove anni il conseguimento della maggiore età fu portato, per legge, da ventuno a diciotto anni ... che fregatura!!! Se marinavo la scuola dovevo chiedere ai miei la giustificazione, ed erano prediche. Onesto come sono, infatti, ritenevo riprovevole falsificare una firma.
Che ti posso dire di più? che a distanza di trent'anni mi sento un reduce, scampato a tante battaglie e non tutte vinte, caro Mario, e che, adesso, voglio solo la pace e la tranquillità di un porto sicuro, dove vivere sereno gli anni, spero tanti, che mi restano.
Un abbraccio fraterno.
4 commenti:
Ricevo, e volentieri pubblico, questa sorta di lettera che mi ha inviato oggi un amico fraterno. L'ho ritenuta bella e accorata, forse perché ha aperto i cassetti della memoria, e ve l'ho voluta proporre.
E' semplicemente bellissima!
Ho qualche anno in meno, ma questa è anche la mia generazione e mi ci riconosco pienamente.
Qello che ho trovato scritto mi risuonava dentro parola per parola, con amarezza e senso di appartenenza.
Questa generazione smarrita e persa, non ha conquistato il mondo e non lo conquisterà, ma ha acquisito una consapevolezza che vale molto, molto di più.
Grazie, porquoipas.
E fa pensare come, di una generazione che aveva posto i sogni tra le proprie priorità, carriera abbiano fatto i cinici e i bari.
Vista da lontano, da molto lontano, è la storia del lupo e dell'agnello.
: (
e chi è il lupo e chi l'agnello?
la mia generazione era veramente "the dark side of the moon", ma nessuno se n'è accorto ... nemmeno noi
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