Curioso per natura, quando trovo uno spunto che mi attira inizio a spulciare qua e là, soprattutto sul Web, per cercare di capirne di più. Nello scorso mese di agosto, caratterizzato dalle polemiche e dalle tempeste mediatiche che tutti conosciamo (e delle quali è inutile parlare), si sono levate numerose voci ad affermare che, ormai, l'informazione vera e indipendente la fanno non i giornalisti ma il popolo di Internet e che quotidiani e periodici hanno intrapreso un declino ormai irreversibile.
Tali apodittiche affermazioni contengono qualche verità e molte esagerazioni: vediamole.
Sicuramente la carta stampata ha perso copie, l'ho verificato sul sito della Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali): nei primi sei mesi dell'anno i giornali (quotidiani e periodici) hanno perso vendite per una media del 6,27% rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente. Tradotto in soldoni significa oltre un milione e ottocentomila copie vendute in meno e questo dato, rapportato all'andamento dell'intero 2007 (anno di suo non brillantissimo, che vide una contrazione di vendite del due per cento rispetto al precedente), è tre volte superiore. Una situazione del genere può essere considerata molto seria, quasi drammatica.
Ho continuato la mia piccola indagine, basata su dati empirici e senza alcuna pretesa di scientificità, e sono andato a vedere il rank, cioè la posizione in classifica, su scala mondiale, dei siti di alcuni quotidiani italiani. In parole povere, più basso è il numero di rank di un sito, maggiore è il numero di visite che riceve.
Ebbene, “La Repubblica” è al centonovantottesimo posto (su scala mondiale) e precede il “Corriere della Sera” di venti posizioni; staccatissimo (869°) il sito de “Il sole - 24 ore”, oltre la millesima piazza “Il Giornale”, nonostante due messi vissuti pericolosamente nell'occhio del ciclone delle polemiche; meglio della testata di Vittorio Feltri, per restare nell'ambito della famiglia Berlusconi, ha fatto il quotidiano on line Tgcom, che naviga attorno alla trecentocinquantesima piazza ma che, comunque, è consultabile solo sul web e in brevi flash sulle reti televisive Mediaset.
E i blogger come si piazzano? Beppe Grillo abbastanza bene: precede “Il Giornale” di quasi duecento posizioni, ma dopo dopo di lui è il diluvio. Wittgenstein, il blog di Luca Sofri, giornalista de “Il Foglio” è oltre la ventimillesima posizione, e i siti di altri blogger ben noti nel piccolo mondo degli abitanti della Rete hanno un numero di visite di molto inferiore, a giudicare dal rank che presentano.
A ciò si aggiunga un fatto al quale non si dà sufficiente risalto: la qualità media dei blog italiani è piuttosto scarsa. Pochi contributi originali, post (articoli pubblicati su un blog) scritti in un italiano raccapricciante o pieni di errori di ortografia, a dimostrare scarsa cura nella pubblicazione; ancora, molti blogger ne citano altri, spesso “dimenticando” di indicare la fonte, altri scrivono cose di una banalità sconcertante o con errori che potevano essere facilmente evitati consultando Wikipedia, per non parlare del gran numero di blog abbandonati o quasi, perché il loro autore ha scritto due o tre post e poi si è stufato.
Il quadro che ho dipinto è abbastanza negativo, quasi a voler distruggere il mito dell'informazione dal basso, fatta, cioè, dai lettori, o meglio dagli utenti, ma i blogger hanno un merito indiscutibile: quello di diffondere le notizie, di propagarle con una sorta di passaparola tecnologico, libero e inarrestabile. Cercare di censurare Internet è, quasi, come svuotare il mare con un cucchiaino: un'impresa temeraria e impossibile, tante e tali sono le possibilità di comunicazione che la Rete offre. I Cinesi hanno provato a farlo, ma le notizie da e per i sudditi del Celeste Impero riescono ugualmente a oltrepassare la Grande Muraglia; gli iraniani, dopo le recenti elezioni presidenziali, hanno cercato di bloccare le notizie diffuse grazie a Twitter, ma senza riuscirci, e di esempi simili se ne potrebbero fare anche altri.
Mi sento, quindi, di poter tirare qualche conclusione: il popolo di Internet è insostituibile per far emergere e diffondere notizie che altrimenti potrebbero cadere nel dimenticatoio ed è sicuramente più partecipativo dei lettori e dei telespettatori. Questa maggiore attività è indizio di senso civico, passione civile e amore per la democrazia e la libertà.
Altrettanto importante, però, è il ruolo dei giornalisti, il compito dei quali deve essere quello di cercare le notizie e fare inchieste in modo obbiettivo. Risultato impossibile da raggiungere? Forse no, come dimostra l'esempio di Spot.us, sito statunitense nel quale giornalisti indipendenti dichiarano di voler fare un servizio o un'inchiesta su un determinato argomento e chiedono ai potenziali lettori di essere finanziati; chi è interessato versa una quota e, quando è stata raggiunta la cifra prefissata, il giornalista inizia a lavorare sul pezzo, senza essere in alcun modo influenzato da scelte editoriali, inserzionisti pubblicitari o altre forme di limitazione della sua indipendenza. In questo modo la sinergia tra giornalista e lettore è completa.
In tutto questo che fine faranno i giornali? Sicuramente non spariranno, ma con altrettanta certezza ritengo che dovranno cambiare pelle. Le edizioni cartacee subiranno ulteriori contrazioni di vendite, mentre le versioni on line acquisteranno lettori. Come fare business in un quadro del genere? Si possono rendere disponibili a pagamento gli archivi, oppure vendere le copie, come fossero in edicola: l'utente desidera leggere on line gli articoli di un quotidiano o di un periodico (e qui diventa strategica la qualità dei contenuti, direttamente proporzionale a quella dei loro autori)? Si abbona, pagando una cifra sensibilmente ridotta rispetto all'edizione cartacea, oppure (ad esempio con una carta ricaricabile) acquista, con micropagamenti, gli articoli di suo interesse. Chi vivrà, vedrà.
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