Nel giro di poco più di un anno ho letto per due volte “Fiesta”, primo romanzo di Ernest Hemingway. Occorre dire che si trattava, comunque, di una rilettura, perché Hemingway è stato il mio autore preferito dai sedici ai vent'anni.
Ecco i fatti. Poco più di un anno fa, in una scorribanda tra le bancarelle di Portalba, zona di Napoli ad elevata densità di librerie, trovai una copia di “Fiesta”, edizione “gli Oscar settimanali” Mondadori, e, in preda a un attacco di nostalgia, lo acquistai. Mi trovai a leggere un libro insipido, scritto in un italiano a volte irritante, decisamente diverso dal mio ricordo di gioventù. In un'altra visita ai librai di Portalba, di poco successiva, trovai tre volumi dei “Meridiani”, sempre Mondadori, uno contenente tutti i racconti, gli altri due con gli otto romanzi che “Papa” Hemingway pubblicò in vita: acquistai anche questi e li riposi nella mia libreria.
Quest'estate, dedicata come solito alla lettura, mi ritrovai tra le mani questi tre volumi e li affrontai, ritrovandomi a fare i conti con “Fiesta”. Memore della precedente lettura, iniziai il romanzo con una certa prevenzione ma, fin dalle prime pagine, mi resi conto che avevo in mano ben altro rispetto a quello letto in precedenza. Un attimo di perplessità, il pensiero di essere rincitrullito tanto da avere sensazioni completamente contrastanti nella lettura dello stesso romanzo, poi una rapida e doverosa verifica: le due versioni di “Fiesta” avevano traduttori diversi, uno dei quali, evidentemente, aveva saputo rendere meglio lo stile di Hemingway.
Voglio riportare, a titolo di esempio, il primo capoverso di entrambe le edizioni, iniziando da “Gli Oscar settimanali”:
Sembra quasi che la prima traduzione sia letterale, mentre nella seconda l'autore si sia sforzato di calarsi nello stile di Hemingway e abbia cercato di renderlo in italiano, magari a scapito della perfetta aderenza all'originale. Il mio professore di greco al liceo diceva che tradurre è un po' tradire: se siamo aderenti alla lettera dell'originale otteniamo spesso traduzioni illeggibili o quasi, mentre, se interpretiamo il testo da tradurre, possiamo renderlo più leggibile, pur senza stravolgerne lo stile. Ecco, nel nostro caso la prima traduzione è più fedele ma la seconda è più leggibile e più simile alla poetica di Hemingway.
A rimarcare ulteriormente le differenze tra le due traduzioni, riporto le ultime battute del romanzo, iniziando sempre dall'edizione economica degli Oscar:
L'altra considerazione riguarda l'avverbio “improvvisamente”, che il primo traduttore attribuisce al movimento del taxi, il secondo a quello di Brett. Dettagli, d'accordo, ma che dimostrano come “tradurre” sia un po' “tradire”. È difficile rendere, in una lingua diversa da quella d'origine, quello che l'autore ha scritto e ci si può imbattere in situazioni come quelle descritte. Un'ultima notazione stilistica: Hemingway è sempre stato un grande assertore dell'understatement, figura retorica della lingua inglese che consiste nel sottostimare ciò di cui si sta parlando o scrivendo. L'uso di questa descrizione per difetto spinto al limite estremo può portare anche alla deformazione della realtà. Jake e Brett sono profondamente innamorati l'uno dell'altra, ma l'uomo è impotente per una ferita di guerra e, quindi, il loro rapporto, pur se di grande intimità, resta su un piano platonico, con Brett che cerca in altri uomini quello che Jake non può darle. Fatta questa necessaria premessa andiamo a rileggere l'ultima battuta del romanzo. Brett dice che loro due avrebbero potuto avere una vita felice assieme, e Jake risponde con un pizzico di understatement. Ebbene, tra “ Non è bello pensare così? ” dell'edizione Oscar e “ Non è carino pensarlo? ” dell'altra preferisco quest'ultima, che mi sembra essere più aderente allo stile dell'autore.
Ecco i fatti. Poco più di un anno fa, in una scorribanda tra le bancarelle di Portalba, zona di Napoli ad elevata densità di librerie, trovai una copia di “Fiesta”, edizione “gli Oscar settimanali” Mondadori, e, in preda a un attacco di nostalgia, lo acquistai. Mi trovai a leggere un libro insipido, scritto in un italiano a volte irritante, decisamente diverso dal mio ricordo di gioventù. In un'altra visita ai librai di Portalba, di poco successiva, trovai tre volumi dei “Meridiani”, sempre Mondadori, uno contenente tutti i racconti, gli altri due con gli otto romanzi che “Papa” Hemingway pubblicò in vita: acquistai anche questi e li riposi nella mia libreria.
Quest'estate, dedicata come solito alla lettura, mi ritrovai tra le mani questi tre volumi e li affrontai, ritrovandomi a fare i conti con “Fiesta”. Memore della precedente lettura, iniziai il romanzo con una certa prevenzione ma, fin dalle prime pagine, mi resi conto che avevo in mano ben altro rispetto a quello letto in precedenza. Un attimo di perplessità, il pensiero di essere rincitrullito tanto da avere sensazioni completamente contrastanti nella lettura dello stesso romanzo, poi una rapida e doverosa verifica: le due versioni di “Fiesta” avevano traduttori diversi, uno dei quali, evidentemente, aveva saputo rendere meglio lo stile di Hemingway.
Voglio riportare, a titolo di esempio, il primo capoverso di entrambe le edizioni, iniziando da “Gli Oscar settimanali”:
Robert Cohn era stato campione dei pesi medi a Princeton. Non dovete credere che questo come titolo sportivo faccia impressione a me, ma Cohn ci teneva moltissimo. In realtà del pugilato niente gli importava, non gli piaceva affatto, ma l'aveva dolorosamente imparato alla perfezione per controbattere la sensazione di inferiorità e di timidezza che l'essere trattato da ebreo a Princeton gli procurava.
C'era un certo intimo conforto nella coscienza di poter mettere a terra chiunque fosse stato insolente con lui, per quanto Cohn, ragazzo molto timido e per bene, non facesse mai a pugni tranne che in palestra. Era l'allievo prodigio di Spider Kelly …
Ecco la traduzione dello stesso capoverso nei “Meridiani”:
Robert Cohn era stato un tempo campione di pugilato di Princeton, categoria pesi medi. Non crediate che questo, come titolo pugilistico, a me faccia una grande impressione, ma per Cohn significava molto. Non gli importava niente della boxe, anzi la detestava, ma l'aveva imparata, con fatica e sino in fondo, per reagire a quel senso di inferiorità e di insicurezza che gli derivava a Princeton dall'essere trattato come un ebreo. Traeva insomma una certa gioia intima dalla consapevolezza di poter mettere fuori combattimento chiunque avesse fatto lo spocchioso con lui, ma, essendo un ragazzo molto timido e assolutamente per bene, non si batté mai se non in palestra. Era il miglior allievo di Spider Kelly …Diverso è il “suono” dei due testi, diverse le scelte lessicali, diverso anche il ritmo. Nella prima traduzione lo stile è involuto, con frasi complesse che sono l'esatto contrario della poetica di Hemingway, come ad esempio “... In realtà del pugilato niente gli importava, non gli piaceva affatto ... ”, antitesi di “... Non gli importava niente della boxe, anzi la detestava ... ” della seconda versione. Un costrutto più semplice ma, anche, più leggibile. E di esempi siffatti se ne potrebbero fare moltissimi altri.
Sembra quasi che la prima traduzione sia letterale, mentre nella seconda l'autore si sia sforzato di calarsi nello stile di Hemingway e abbia cercato di renderlo in italiano, magari a scapito della perfetta aderenza all'originale. Il mio professore di greco al liceo diceva che tradurre è un po' tradire: se siamo aderenti alla lettera dell'originale otteniamo spesso traduzioni illeggibili o quasi, mentre, se interpretiamo il testo da tradurre, possiamo renderlo più leggibile, pur senza stravolgerne lo stile. Ecco, nel nostro caso la prima traduzione è più fedele ma la seconda è più leggibile e più simile alla poetica di Hemingway.
A rimarcare ulteriormente le differenze tra le due traduzioni, riporto le ultime battute del romanzo, iniziando sempre dall'edizione economica degli Oscar:
« Oh, Jake » Brett disse, « Noi due saremmo stati così bene assieme. »Ed ecco la versione apparsa nella collana “Meridiani”:
Di fronte a noi su una pedana, un poliziotto in kaki dirigeva il traffico. Alzò la sua mazza. La macchina improvvisamente rallentò, spingendo Brett contro me.
« Già » dissi io, « “Non è bello pensare così? »
« Oh, Jake » disse Brett, « ci saremo potuti divertire tanto insieme. »Qui ci sono un paio di considerazioni da fare. La prima: da una parte troviamo un poliziotto montato su una pedana che dirige il traffico agitando una mazza (probabilmente con aria minacciosa, visto l'arnese di cui è dotato), dall'altra un poliziotto a cavallo che usa solo un bastone. Mi domando quale fosse il grado di indisciplina degli automobilisti madrileni degli anni Venti se un vigile urbano deve regolare il flusso di veicoli usando armi contundenti ma, soprattutto, mi chiedo dove sia questo poliziotto, se a cavallo o su una pedana. Questa volta opto per la prima versione, visto che anche in Italia, almeno fino a qualche decina di anni fa, non era infrequente vedere i vigili urbani dirigere il flusso dei veicoli da pedane poste nel centro degli incroci più trafficati.
Davanti un poliziotto a cavallo in divisa cachi dirigeva il traffico. Alzò il suo bastone. La macchina rallentò, spingendo improvvisamente Brett contro di me.
« Sì » dissi. « “Non è carino pensarlo? »
L'altra considerazione riguarda l'avverbio “improvvisamente”, che il primo traduttore attribuisce al movimento del taxi, il secondo a quello di Brett. Dettagli, d'accordo, ma che dimostrano come “tradurre” sia un po' “tradire”. È difficile rendere, in una lingua diversa da quella d'origine, quello che l'autore ha scritto e ci si può imbattere in situazioni come quelle descritte. Un'ultima notazione stilistica: Hemingway è sempre stato un grande assertore dell'understatement, figura retorica della lingua inglese che consiste nel sottostimare ciò di cui si sta parlando o scrivendo. L'uso di questa descrizione per difetto spinto al limite estremo può portare anche alla deformazione della realtà. Jake e Brett sono profondamente innamorati l'uno dell'altra, ma l'uomo è impotente per una ferita di guerra e, quindi, il loro rapporto, pur se di grande intimità, resta su un piano platonico, con Brett che cerca in altri uomini quello che Jake non può darle. Fatta questa necessaria premessa andiamo a rileggere l'ultima battuta del romanzo. Brett dice che loro due avrebbero potuto avere una vita felice assieme, e Jake risponde con un pizzico di understatement. Ebbene, tra “ Non è bello pensare così? ” dell'edizione Oscar e “ Non è carino pensarlo? ” dell'altra preferisco quest'ultima, che mi sembra essere più aderente allo stile dell'autore.
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